Il progetto "Api in città"

I mieli prodotti nel Boschetto dell'Orto Botanico (foto D. Bouvet)

 

Nascita di un'idea
Pensa che bello sarebbe allevare le api nel centro di Torino.
L'idea di un apiario al Valentino nasce proprio così, con una proposta, che è quasi un soliloquio, sussurrata due anni or sono nell abitacolo di una vettura che scende per i tornanti della Valgrisanche, tra esuberanti fioriture di epilobio e la luce obliqua di un sole al tramonto. Quella frase, pronunciata quasi distrattamente da Lorenzo Domenis, veterinario, rimbalza nel cuore di Marco Cucco, giardiniere, che seppur intento alla guida in una difficile strada di montagna, riesce a rilanciare la posta con la forza di un progetto ormai deciso: "Ma questa è un idea fantastica!".

Da lì si sviluppa un percorso, forse comune a molte iniziative creative, caratterizzato da una lunga serie di dubbi e riflessioni, che tuttavia, in questo caso, sono articolati da richieste strane e fantasiose al limite del buffo, del tipo "arnie da nomadismo o stanziali?" , "api regine bolognesi o autoctone?" , "tetti a scatola o a spiovente?", "ma l'ippocastano è più nettarifero dell'acacia?" e così via. Quelle domande hanno avuto molte e variegate risposte e per fortuna anche l'ultimo, importante quesito, ovvero se al Comune e all'Università di Torino, responsabile dell'Orto Botanico, una proposta simile potesse piacere, è stato soddisfatto, ricevendo un'accoglienza positiva insieme a entusiastiche benedizioni.

Dunque dalle parole si è passati ai fatti e laggiù, nell'antico Boschetto", fondato nel lontano 1830, tra un corniolo (Cornus mas) e un noce del Caucaso (Pterocarya fraxinifolia), ora vivono e prolificano 5 famiglie di api, in cassette di legno che a noi è piaciuto chiamare con i nomi delle donne che animano le nostre vite: Casa Raffaella e Casa Cecilia, Casa Laura e Casa Elisabetta, ed infine, l'ultima arrivata, Casa Sibilla.
Finalmente le api volano in città!

 

Perché un apiario a Torino
Non c è un solo perché. O meglio: per un simile perché non esiste una collocazione temporale univoca, se è vero che i motivi della nostra iniziativa si snodano tra passato, presente e futuro. E allora descriviamoli così, rispettando l'immutabile corso della storia...

 

Il perché del passato: numerose sono le testimonianze riguardanti la presenza di apiari nei castelli piemontesi, tra cui Racconigi, Venaria, Aglié, e altrettanto copiosi risultano i contributi che proprio la nostra città ha dato nell'ultimo secolo al mondo dell apicoltura. Tra questi ricordiamo l'appassionato impegno di Don Giacomo Angeleri (1877-1957), autore del volume "Cinquant'anni con le api e gli apicoltori"; l'apertura, nel 1928, de "La Casa del Buon Miele" in C.so Giulio Cesare 99, ovvero il primo negozio italiano per la vendita del miele e dei suoi derivati; la fondazione, nel 1969, dell'Osservatorio di Apicoltura di Reaglie; la pubblicazione, dal 1909 al 1997, de "L'Apicoltore Moderno", una rivista tutta torinese dedicata al settore, voluta e realizzata dal Prof. C. Vidano.

 

Il perché del presente: su quotidiani e siti internet si stanno moltiplicando le notizie riguardanti esperienze, condotte con sorprendente e incoraggiante successo, di apicoltura urbana: ovvero alveari collocati in grandi contesti metropolitani, come Parigi, Bruxelles e New York, che, seppur più complessi e articolati del nostro, offrono l'occasione di raccogliere - incredibile ma vero! - un miele di elevata qualità, caratterizzato da esclusive proprietà organolettiche e da un incredibile varietà pollinica.

Esemplare l'avventura del francese Olivier Darné, coraggioso apicoltore urbano che grazie alle sue arnie, collocate inizialmente sul municipio di Saint Denis e poi nel cuore delle più grandi città francesi, produce un miele, famoso come "miel béton", premiato in numerosi concorsi di settore nel paese transalpino. E dunque sulle moderne note delle più avanguardiste tendenze e attualità che predisporre un apiario in uno dei più emblematici archi di Torino (a sua volta oggetto di recente rivalutazione naturalistica) significa anche rilanciare un'attività, l'apicoltura appunto, ormai confinata unicamente, e ingiustamente, negli ambienti rurali.

 

Il perché del futuro: sarà un esperimento apistico di integrazione razziale, proprio a ridosso di un quartiere composito e variegato come S. Salvario, laddove, grazie alla ferace mescolanza cosmopolita di varietà botaniche e
specie floreali di importazione (sicuramente presenti su veroni, davanzali, abbaini, spioventi, anfratti e interstizi del variopinto ed esotico rione), la policromia della multietnica composizione arboreo-gustativa finirà per trionfare sulla grigia e monotona consuetudine cittadina.

Il progetto intende ancora potenziare il valore di altre simpatiche iniziative recentemente avviate all'insegna dell agricoltura urbana, come la conduzione di mandrie e greggi nei parchi cittadini o la divulgazione di pratiche innovative quali l'installazione di orti verticali in appartamenti e balconi. Parallelamente, il progetto si declinerà sotto un profilo didattico, come occasione formativa di taglio agro-zootecnicoper allievi e insegnanti delle scuole torinesi, ai quali si prevede di offrire la possibilità di esperire le tecniche di allevamento delle api e delle relative produzioni (miele, propoli, pappa reale, cera e veleno) nel cuore stesso della loro metropoli.

 

"Con la viva speranza di scatenare tante operaie nella città della gloriosa Fiat, porgiamo distinti e fantasiosi saluti".
Erano le parole con cui chiudevamo la presentazione del progetto al Comune di Torino.
Anche adesso ci sembrano le migliori per congedarci da voi.
Marco Cucco e Lorenzo Domenis